Anno IX - Numero 11
La morte è il limite di ogni cosa.
Orazio

martedì 27 giugno 2017

Come l’Italia butta via i suoi soldi

È la cattiva spesa che impedisce all’Italia di crescere. Spendiamo cifre abnormi nelle pensioni, e poco nell’istruzione. Tantissimo in stipendi pubblici e pochissimo in investimenti. Fotografia di un paese bloccato, in cui la politica non fa che assecondare una deriva che ci toglie il futuro.

di Francesco Grillo

Il primo problema dell’Italia non è il volume complessivo della spesa pubblica. È la sua composizione ad essere irrazionale e ad averci trascinato in una trappola dalla quale non riusciamo ad uscire.
A confermare che questo è il titolo della storia nella quale siamo imprigionati dalla metà degli anni novanta è l’ennesima manovra finanziaria varata dal Parlamento qualche giorno fa
per rispondere all’ennesima richiesta della Commissione Europea che ci chiedeva di ridurre il deficit pubblico dello 0,2% del PIL (!). L’ultima manovra ha il pregio parziale di ridurre il deficit senza appesantire di tasse una crescita timida ma esistente. Ma il suo limite – obbligato per un Governo che mai fu pensato per cambiare in profondità – è quello di essere l’ennesima puntata di una commedia infinita tra Europa e Italia. Una commedia che continua a non intaccare i problemi strutturali che zavorrano l’Italia. E ad essere il simbolo – se si pensa a quanto numerose sono le violazioni del sacro patto di stabilità e generiche certe raccomandazioni - di quanto debole sia quell’integrazione che Macron vuole rendere subito più seria.

Non è il primo dei nostri problemi il deficit pubblico (il nostro era al 2,4% prima della correzione, laddove il limite posto dal patto di stabilità è al 3 e la Francia è al 3,4). E non è il volume complessivo di spesa pubblica l’anomalia italiana: anche se essa va diminuita – dovunque in Europa – per far crescere società ancora troppo dipendenti da Stati pensati per governare l’Ottocento. Ci mettono in ginocchio gli interessi che paghiamo su un debito di 2270 miliardi di euro ed un PIL che non cresce abbastanza. La spesa per interessi vale il 4% del PIL (nonostante il bazooka con il quale Draghi ne addomestica le fiamme); il PIL stesso aumenta (mettendoci dentro pure l’inflazione che serve a pagare un debito che rimane al suo valore nominale) dell’1,7%. Significa che – da anni – stiamo facendo debito per pagare interessi, e qualsiasi banchiere riconoscerebbe ciò come premessa di un fallimento.

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