Anno IX - Numero 10
Non è sufficiente parlare di pace. Bisogna crederci.
Eleanor Roosevelt

martedì 20 giugno 2017

Si può fermare la Brexit?

Si può fermare la Brexit? Tra i giuristi non c’è unanimità di pensiero. Ma non si può ammettere che uno stato possa revocare il recesso dall’Unione europea in base alle sue convenienze. Perché la decisione spetterebbe alla Corte di giustizia europea.

di Pietro Manzini

Porte aperte della Ue per il Regno Unito
La revoca della Brexit è stata ritenuta finora un problema puramente teorico. Sennonché, dopo la pesante sconfitta di Theresa May nelle elezioni politiche dell’8 giugno, l’ipotesi sembra meno campata per aria.
Non solo perché il risultato può essere letto come una sconfessione popolare dell’approccio alla Brexit propugnato dai conservatori, ma anche per il fatto che il governo inglese oggi deve reggersi

sull’appoggio parlamentare del Democratic Unionist Party del Nord Irlanda, i cui cittadini hanno votato in maggioranza contro la Brexit.

Non sorprende quindi che, in occasione della recente visita di Theresa May a Parigi, il presidente francese, Emmanuel Macron, abbia affermato che le porte dell’Unione sono sempre aperte, nel caso in cui il Regno Unito cambi idea, anche se – ha avvertito – man mano che il negoziato procede, l’operazione potrebbe risultare sempre più difficile. Guy Verhofstadt, parlamentare belga di grande peso a Strasburgo, ha aggiunto che le porte della UE, sebbene ancora aperte, non sono tutte uguali, proprio come quelle di Alice nel paese delle meraviglie: a suo parere nel caso gli inglesi volessero rimanere, dovrebbero rinunciare ai privilegi che negli anni si sono conquistati, primo fra tutti la famosa riduzione di contributo al budget europeo negoziato da Margaret Thatcher nel 1984, e passata alla storia con l’elegante slogan: I want my money back!

L’interpretazione dell’articolo 50
Ma, al di là delle affermazioni dei politici, il tema è prettamente giuridico: dopo che uno stato, in applicazione dell’articolo 50 del Trattato dell’Unione europea, ha notificato agli altri partner europei la sua intenzione di uscire dalla UE, può revocare la notifica? L’articolo 50 sul punto tace, probabilmente perché parte dal presupposto – che la realtà ha dimostrato errato – che una decisione così grave non possa essere presa a cuor leggero e pertanto, una volta adottata, la revoca è inconcepibile.

I giuristi si sono perciò lanciati in speculazioni varie. L’unico punto su cui sembra esserci consenso è che se la revoca dalla decisione di recedere è concordata dallo stato interessato con tutti i rimanenti 27 membri, è ammissibile, dato che nel diritto internazionale l’unanimità risolve ogni questione.

Molto più problematica sarebbe una revoca unilaterale, in contrasto con il desiderio di tutti o di alcuni stati membri dell’Unione. Taluni giuristi che la ritengono ammissibile (non a caso, inglesi) affermano che il Regno Unito, così come ha unilateralmente notificato il recesso, potrebbe altrettanto unilateralmente revocarlo, se ciò fosse deciso in maniera conforme alle norme interne britanniche. Molti altri giuristi sono assai più cauti: è vero che in base all’articolo 50 ogni stato membro può decidere unilateralmente di recedere dall’Unione, ma in virtù alla stessa norma, una volta notificato il recesso, la procedura non è più solo sotto il controllo dello stato recedente. Infatti, diviene completamente europea, poiché nel negoziato sono coinvolti tutti gli stati, nonché la Commissione, il Consiglio europeo e il Parlamento europeo che devono, rispettivamente, negoziare e approvare l’accordo di recesso. Inoltre, sempre in base all’articolo 50, la notifica di recesso si conclude solo in due modi: o con un’uscita concordata tra le parti o con un recesso non concordato, che si realizza automaticamente dopo due anni dalla notifica. Questi giuristi ritengono pertanto che lo stato possa decidere unilateralmente se innescare la procedura dell’articolo 50 ma, una volta partita, la procedura può concludersi solo col recesso.

Dietro la cautela giuridica c’è una preoccupazione politica. Se si ammettesse che uno stato può a suo piacimento revocare il recesso, si correrebbe il rischio che ogni stato membro possa decidere di lasciare l’Unione, al solo fine di cercare di ottenere, mediante il negoziato che ne segue, miglioramenti della sua specifica posizione, ad esempio attraverso clausole di esenzione di applicazione di particolari politiche o riduzioni di contributi al bilancio comune. Così, se si ammettesse che il Regno Unito può portare a termine il negoziato e poi decidere se uscire o meno dall’Unione in base all’ipotesi più vantaggiosa, la Brexit sarebbe seguita a ruota da tante altre ‘exit’ di stati desiderosi di ottenere gli stessi risultati. L’Unione si trasformerebbe in un tavolo negoziale permanente, senza alcuna certezza delle regole applicabili.

La conclusione che diversi giuristi traggono, incluso chi scrive, è che la revoca unilaterale della Brexit può forse essere ammessa solo se è decisa prima che il negoziato lasci intravedere i suoi risultati e il Regno Unito possa fare i conti se l’operazione gli conviene o meno. Nell’Unione si sta anzitutto perché si condividono ideali e valori e non solo perché conviene economicamente.

Già questa conclusione dispiacerà agli inglesi, ma temo verrà loro il mal di testa quando si accorgeranno che, poiché la questione della revoca è in sostanza una questione di interpretazione dell’articolo 50 del Trattato, l’unico soggetto competente a risolvere in maniera definitiva il problema è l’odiata Corte di giustizia dell’Unione europea.

Pietro Manzini per LaVoce.info