Anno IX - Numero 10
Non è sufficiente parlare di pace. Bisogna crederci.
Eleanor Roosevelt

martedì 6 marzo 2018

Dove sono finiti gli intellettuali?

La scomparsa dell’intellettuale dall’orizzonte riguarda primariamente la centralità del loro pensiero, la possibilità di influenzare le nostre idee. È un processo a due vie: il palco non offre, la platea non domanda. Patetici saltimbanchi senza né arte né parte a un certo punto hanno ricoperto uno spazio vuoto

di Massimo Mantellini

Che fine ha fatto la classe intellettuale in Italia oggi? Due possibili risposte. La prima: gli intellettuali in Italia oggi sono pochi, molto nascosti, generalmente inascoltati. Continuano il loro lavoro, indispensabile alla società, da là sotto, senza che nessuno se ne accorga. Sapreste nominare un grande filosofo, uno storico di livello, uno scienziato degno di questo nome ampiamente conosciuti (e riconosciuti) dalla gente in Italia nel 2018? Qualcuno che possa essere interrogato dai media nel momento in cui il Paese si trova (accade ogni giorno) di fronte a temi importanti?
Che sappia indicarci la strada di fronte allo scadimento della vita politica o ai rigurgiti fascistoidi, o che ci parli di calcio o di cruciverba o di qualsiasi altra cosa fuori dalle solite banalità? Queste persone esistono, continuano a lavorare, studiano e producono cultura. Una cultura indispensabile ma invisibile.

Se le cose stanno così è in atto da tempo, e noi ne siamo testimoni, un vasto processo di sostituzione. Cosa accade quando la classe intellettuale viene lasciata ai margini della società? Accade che quel ruolo verrà occupato da qualcun altro. Da almeno un paio di decenni, in un processo di sostituzione molto evidente, la classe intellettuale italiana è stata sostituita da qualcosa d’altro. In ogni campo, attraverso meccanismi di emersione del tutto inediti.

La seconda risposta possibile – ma è pura accademia – è che ogni tempo abbia la propria classe intellettuale e che la nostra scandalizzata meraviglia di oggi sia un semplice problema di sistemi di riferimento. Quella che a me pare una schiera di scadenti comprimari eletti a guida culturale del Paese in realtà è invece la lista dei migliori che abbiamo: una società magari mediocre che produce una classe intellettuale a sua immagine.

Io credo invece che gli intellettuali esistano – io li ho visti – e che siano sempre più ai margini, sconosciuti ai più: usualmente sostituiti nella reputazione pubblica da una vasta schiera di parvenu della cultura e dell’arte. Il loro posto è semplicemente occupato, il loro lavoro ha smesso – da tempo – di creare valore per la società intera.

Le ragioni di un simile fenomeno sono sostanzialmente due. La mancata richiesta di un ricambio generazionale è la prima. Il punto non è che ex direttori ultranovantenni continuino a presidiare gli editoriali della domenica mattina; il punto è che non esista una spinta che domandi a gran voce qualcosa di nuovo. È un processo a due vie: il palco non offre, la platea non domanda.

Non è solo la dittatura del posto fisso, che per gli intellettuali di fama in Italia prevede il pensionamento solo nel giorno del funerale (e talvolta perfino dopo, visto che il nostro avrà prodotto nel frattempo in senectutevaste opere da pubblicare postume) ma esiste anche una più banale questione di domanda e offerta. C’è domanda di idee nuove e colte? Esistono esempi di nuovi intellettuali che siano usciti dalla bolla e abbiano reso il proprio lavoro riconoscibile abbastanza da diventare economicamente interessante? Pochissimi mi pare.

E tuttavia quello economico è quasi l’ultimo dei problemi. La scomparsa dell’intellettuale dall’orizzonte riguarda primariamente la centralità del loro pensiero, la possibilità di influenzare le nostre idee. Nell’Italia del 2018 gli intellettuali restano chiusi nelle biblioteche e il loro lavoro si impoverisce nella sua parte più rilevante: creare consapevolezza per tutti. Nel frattempo i mass media e la politica sono pieni di patetici saltimbanchi senza né arte né parte che semplicemente, a un certo punto, hanno ricoperto uno spazio vuoto. Gente che la maggioranza di noi oggi chiama intellettuali. Sono dappertutto, recitano una parte, non sanno nulla. Noi ci accontentiamo.

Tutelare il lavoro di sintesi della classe intellettuale era un compito importante interamente a carico nostro. Era importante soprattutto per noi. Non ci è sembrato abbastanza importante.

Massimo Mantellini su Manteblog